Medici e burnout: prevenire e curare attraverso il linguaggio dell’intelligenza emotiva


a cura di Elisabetta Cofrancesco, medico.

Relazione presentata all’evento formativo ECM organizzato dall’Ordine dei Medici di Milano il 15 febbraio 2020, presso il Westin Hotel, Milano, dal titolo “Interventi integrativi per prevenire ed affrontare il burnout

La letteratura internazionale riporta dati allarmanti sulla salute dei medici. Circa il 40-50% dei medici presenta sintomi significativi di esaurimento e burnout: depressione e dipendenza da alcool, farmaci e sostanze sono frequenti, i suicidi e i pensieri di suicidio (6-12%) hanno un tasso più che doppio rispetto a quello di altri professionisti e tra le donne medico sono tre volte più frequenti rispetto ai colleghi maschi.

E il problema inizia presto: gli studenti di medicina, gli specializzandi e i giovani medici, infatti, avrebbero i tassi di stress e burnout più elevati. Alcuni fattori della cultura medica concorrerebbero al drammatico fenomeno. Pranay Sinha, medico specializzando presso la Yale School of Medicine, parla di “perfezionismo, infallibilità, onnipotenza”che spesso mascherano, soprattutto nei medici alle prime armi, un enorme senso di inadeguatezzaA ciò si aggiunga una forte competitività e una sorta di addestramento – del tutto inconsapevole! – per diventare insensibili alle emozioni più forti: rabbia, sofferenza, dolore, paura…  fino all’”indurimento del cuore”(Is there hardening of the heart during medical school?, Acad Med 2008). Gli studenti di medicina iniziano gli studi universitari con entusiasmo ed empatia, con un reale desiderio di aiutare gli altri… tuttavia, durante il percorso essi imparano a mascherare i loro sentimenti, o peggio ancora a negarli.

Il burnout – una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo e ‘spersonalizzazione’ (che include negatività, cinismo e incapacità di esprimere empatia o dolore) ha gravissime conseguenze sia in termini di costo umano che di inefficienza del sistema. Dal punto di vista della relazione medico-paziente aumentano da parte del paziente insoddisfazione e diffidenza e si moltiplicano gli episodi di aggressività; aumenta il numero di errori medici – fino al doppio!-;  aumentano le denunce di malasanità e il ricorso alla medicina difensiva. Dal punto di vista organizzativo e istituzionale si registrano perdita di efficienza e di produttività, maggiori costi, e aumento del contenzioso medico-legale. 

Numerosi sono i fattori esterni che concorrono a determinare il burnout: eccesso di burocrazia, problemi organizzativi e scarso personale, orari e carichi di lavoro eccessivi, tensioni lavorative con i colleghi, bassi stipendi e conseguente calo motivazionale. Ma esistono anche fattori personali: scarsa/nessuna educazione alla cura di sé e al riconoscimento dei propri bisogni, inefficiente gestione delle proprie energie psico-fisiche, conflitti casa-famiglia, motivazione affievolita.

Ora, se è vero che l’intervento sulle istituzioni e sull’organizzazione del lavoro richiede pianificazione, risorse e tempi che per il momento è difficile quantizzare, è anche vero che si può fin da subito intervenire parallelamente su tre obiettivi personali fondamentali:

  1. aiutare il medico a ‘conoscere’ e a ‘riconoscer-si’ il problema: molti medici non ‘sanno’ neppure di star male e, se lo sanno, tendono a ignorarlo e non si curano.
  2. aiutare a imparare a chiedere aiuto, offrendo all’interno delle strutture sanitarie uno sportello di counseling o gruppi di counseling per consentire di condividere le proprie difficoltà e confrontarsi nei momenti più critici (Counseling reduces physician burnout, JAMA 2019).
  3. promuovere interventi di formazione al fine di sviluppare padronanza delle proprie (e altrui) emozioni lavorando sull’intelligenza emotiva, potenziando le capacità personali di resilienza, e accettando i propri limiti e la propria vulnerabilità.

E’ importante che la formazione dei medici (prima e dopo la laurea) prepari non solo al ‘saper fare’, ma anche al ‘sentire’ e al ‘saper essere’ ovvero ‘saper stare’ con la sofferenza, il dolore, l’ansia, la paura nella ‘giusta distanza’. E con ‘giusta distanza’ intendo un modo di stare nella relazione che faccia sentire il paziente accolto e compreso, e il medico empatico, centrato e sicuro nel suo ruolo.