La giusta… vicinanza


a cura di Monica Telloli, infermiera, counselor

Sono un’allieva della Scuola REF al termine del percorso formativo e mi sono curiosamente trovata a scrivere la tesi, a conclusione dell’esperienza di tirocinio, in questo tempo di “quarantena” imposto dalla diffusione dell’epidemia da Coronavirus.

 Stiamo vivendo un tempo sospeso, abitato dall’incertezza e dalla paura di non poter controllare gli eventi, se mai avessimo avuto l’illusione di essere in grado di farlo. Un tempo in cui il “distanziamento sociale” pare sia l’unico fattore veramente efficace nel limitare il contagio. Un tempo in cui il non potersi incontrare e abbracciare ha fatto nascere un desiderio di vicinanza e di contatto tra le persone, che forse non conoscevamo prima, o avevamo perso, e ci suggerisce che non si può vivere a lungo troppo distanti, una distanza che è solo limitatamente attenuata dai contatti telefonici e sui social. Un tempo in cui, tuttavia, le altre persone, potenziale veicolo del contagio, rischiano di essere vissute come un pericolo da tenere lontano e da cui difendersi, ponendo sempre nuovi limiti e nuovi confini che allontanano l’altro, il diverso, lo straniero, paradigma di tutto ciò che estraneo anche dentro di noi.

Un tempo in cui l’individuo si sente relegato in una dimensione di solitudine e di isolamento e, nonostante l’iperconnessione virtuale, tuttavia spesso avverte l’angoscia della frammentazione e della non appartenenza. L’insicurezza e il senso di vulnerabilità, ancor prima di sfociare in disagio psichico, si traducono in un senso di malessere interiore e scarsa capacità di far fronte ai repentini cambiamenti, che impongono decisioni e adattamenti, che spesso coinvolgono diversi aspetti della vita: quello lavorativo, affettivo, sociale, la salute…la dimensione interiore, spirituale, provocando una sorta di blocco emotivo e la sensazione di “non farcela”.

Ma è anche un tempo che ci offre anche la straordinaria occasione di stare con noi stessi: limitare l’attività, gli spostamenti, gli incontri, ci costringe a fare i conti con quello che siamo, che desideriamo, che temiamo, e ci rivela le nostre parti più nascoste.   A contatto con l’esperienza della mancanza, emerge la fatica a sostare nell’incertezza, nella precarietà: ci costringe a fare i conti col LIMITE.

Stimolata anche da queste riflessioni più generali ed attuali, ho deciso di dare forma al mio lavoro di tesi di Counseling a partire dalla mia esperienza personale, che in questi anni si è costantemente, e non senza fatica, confrontata col tema dei confini e dei limiti.

L’essermi accostata alla formazione per diventare counselor, lungi dal costituire un mero interesse professionale, portava in sé tutto il desiderio e la fatica di ” venire alla luce e divenire me stessa”. Un desiderio, anzi, un vero e proprio bisogno urgente e non più trascurabile, che mi faceva sentire di avere dentro una matassa aggrovigliata di rabbia, angoscia, paura, desiderio, coraggio, impotenza, forza e debolezza e tanto altro…, con la dolorosa sensazione di frammentazione e di essere estranea a me stessa. In questi anni, col sostegno di chi mi ha accompagnata, ho sperimentato la gioia di osservare e sentire, dentro di me, come opera la tendenza attualizzante.

Ho vissuto come potentemente trasformative e generative l’assenza di giudizio e l’accettazione incondizionata, che ho sentito nei miei confronti. Una attribuzione di valore e di dignità ad ogni vissuto che emergeva dai miei racconti, che mi faceva sentire accolta, confermata rispetto al valore di me come persona. Ho provato commozione nel sentire che tutti i miei sentimenti e le mie emozioni, anche quelle che per me erano inaccettabili, erano comprese e potevano esprimersi senza vergogna. Ho lentamente appreso a rivolgermi a me stessa con una qualità nuova , più gentile e accogliente. Un ascolto paziente di ciò che il CORPO sa, arginando le pretese di comprensione della mente. Ho sperimentato una sorta di  resa alle emozioni anche quelle più dolorose, allentando le difese, familiarizzando con i miei limiti. Non ero sola, mi sentivo accompagnata e potevo spingermi fino ai confini della mia angoscia e questo lentamente ha aperto uno spazio per un nuovo sentire che ha a che fare con la gioia di sentirmi viva e intera.

Ho iniziato la scuola di Counseling per acquisire nuove conoscenze e competenze e mi accorgo che la ricchezza più grande è nella capacità di essere una persona nuova. Intanto che sto apprendendo l’arte del counseling, si è già trasformato anche il mio modo di curare, come infermiera, le persone malate che mi vengono affidate. Mi è particolarmente caro il ruolo del terapeuta come levatrice del cambiamento e non colui che lo genera (C. Rogers). Questo processo lo sento possibile in ogni stadio della vita, e la mia esperienza di lavoro a contatto con la malattia cronica e degenerativa dell’anziano e quella acuta ed evolutiva che conduce alla terminalità, mi chiedono quotidianamente di sorvegliare quel limite e quel confine, posto dalla libertà e dal potere dell’altro, anche quando è debole e appare incapace di assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Sentire il mondo dell’altro come se fosse il proprio, senza mai perdere la propria centratura, rispettando i propri confini e i limiti, permette di esprimere una presenza profondamente empatica e di condividere l’anelito al Bene che accomuna ogni essere umano, rispettandone la libertà e la diversità.

Col tempo sento con sempre maggior chiarezza che l’attitudine all’ascolto integrato, autentico e senza giudizio, è come una calma ma inarrestabile navigazione negli spazi della propria interiorità. Riconoscere i propri confini significa dunque strutturare un contenimento, dei punti di riferimento con cui anche l’altro può confrontarsi, misurarsi, comprendersi e crescere.  In una relazione che con-prende in sè il limite, e gli attribuisce senso e valore, è racchiusa tutta la potenzialità trasformativa di divenire se stessi. E questo vale per entrambi gli attori della relazione d’aiuto.

Per concludere sento veramente prezioso e irrinunciabile l’insegnamento di Rogers che, con instancabile dedizione, animato da profonda passione e infinito rispetto per l’Uomo, ha insegnato a chi si prende cura degli altri, a farlo con grande rispetto per sè e per la dignità di ogni persona, con sensibilità e professionalità, con presenza accogliente e cercando sempre la giusta…vicinanza.