La cura come progetto relazionale nella realtà sanitaria


a cura di Ivana Carpanelli, infermiera e counselor, Istituto Italiano di Bioetica.

Nel libro “Uomo, Natura, Animali. Per una Bioetica della complessità” (a cura di L. Battaglia, Ed. Altravista, 2016) Ivana Carpanelli ci invita a distinguere tra il ‘curare’ –  che si manifesta in ambito strettamente sanitario ed è finalizzato alla guarigione o, almeno,  all’eliminazione dei danni provocati dalla malattia – e il ‘prendersi cura’ che investe ambiti sanitari e sociali e comporta il ‘farsi carico’, conoscere sé e le proprie strategie interne, riconoscere e saper esprimere i propri sentimenti, accogliere e saper contenere le proprie emozioni, essere autentici e flessibili, saper ‘stare con’ se stessi e l’altro.

“Possiamo descrivere il ‘prendersi cura’ come la capacità di leggere il malato, contenerlo, comprenderlo, accoglierlo e riconoscerlo con la sua condizione di dolore e/o sofferenza, ascoltarlo in modo partecipe e non giudicante. In sintesi ‘prendersi cura’ richiede la capacità di prestare attenzione, gestire l’imprevisto, promuovere e garantire dignità e integrità (temporaneamente o permanentemente lesa) della persona malata. Queste competenze sono specifiche del processo di counseling e sollecitano l’utilizzo delle risorse resilienti oltre che lo sviluppo di quelle potenziali.

Il counseling sanitario si applica nelle azioni di promozione della salute e come processo volto al miglioramento delle abilità di coping del paziente, per far fronte al disagio causato dallo stato di malattia. E’ molto importante l’esplorazione dei sentimenti: spesso sono sentimenti di perdita (per ruolo sociale,  lavorativo, per l’attività sessuale,  per la mutilazione di un organo o di parte del corpo, per la paura di perdere la vita). L’intervento dell’operatore deve essere realistico, supportivo, non pessimista. Deve permettere l’espressione di paure legate al significato attribuito alla malattia e ai suoi sintomi o alle possibili conseguenze sociali che ne possono derivare (problemi economici,  gestione del ruolo nella famiglia,  futuro dei figli o del partner).

Oltre alla sua importante funzione terapeutica nei confronti del paziente, l’attività di counseling può consentire un costante mutuo aiuto del gruppo terapeutico nei confronti del gruppo stesso. La consapevolezza di avere uno spazio nel quale condividere la fatica emotiva del ‘prendersi cura’ permette di accedere con maggior fiducia alle proprie risorse personali e allena a chiedere aiuto al gruppo dei colleghi quando se ne sente il bisogno. Noi siamo così per gli altri lo specchio della vulnerabilità, non più intesa con una connotazione negativa, ma come condizione intrinseca dell’uomo, sano e malato. La consapevolezza di essere soggetti vulnerabili è prerequisito fondamentale per lo sviluppo della capacità di empatia  e del sentimento di compassione. Empatia e compassione sono concetti simili ma non sono sinonimi. L’empatia è la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo dell’altro, significa ‘sentire dentro’ e mettersi nei panni dell’altro. La compassione richiama l’empatia ma contiene anche il concetto di partecipazione affettiva, è un sentimento per il quale un individuo percepisce la sofferenza altrui provandone pena e desiderando alleviarla.

Poiché curare e ‘prendersi cura’ sono processi complementari, dalla crisi organizzativa ed economica che la sanità oggi vive, può scaturire, proprio ad opera dei professionisti che sono più direttamente coinvolti in questi processi, una nuova cultura clinico assistenziale.   Questo nuovo patto di cura, infatti, richiede l’integrazione tra il modello di medicina basata sulle prove di efficacia e la possibilità di dare risposte quotidiane a bisogni che rispecchiano l’unicità e l’imprevedibilità dell’uomo. Per questo l’aspetto comunicativo e relazionale dei professionisti della salute è nodale nell’organizzazione sanitaria moderna.

La relazione è esperienza e l’esperienza ci cambia, per questo è necessario che i professionisti della sanità pratichino una costante rimodulazione dell’esercizio etico della cura, finalizzato a conservare l’equilibrio emotivo, affettivo, relazionale; una riflessione costante sui valori e sulla propria identità può favorire un equilibrio tra l’esercizio del potere personale (il’curare’) e il rispetto dei valori dell’altro e della propria integrità identitaria (il ‘prendersi cura’ dell’altro e di sé).

Se così non sarà in maniera forte, le riflessioni in ambiente accademico produrranno soltanto frustrazioni, prima di tutto ai pazienti e ai professionisti e più in generale un decadimento dell’intero sistema”.