La Medicina Integrata Corpo-Mente-Energia: una ‘nuova’ medicina per ‘nuovi’ medici


a cura di Elisabetta Cofrancesco, medico e psicoterapeuta.

La malattia non è solo un fenomeno biologico, ma è sempre anche un fenomeno psichico, sociale e spirituale, e pertanto la metodologia clinica e l’organizzazione sanitaria non possono non tenere conto dell’aspetto più squisitamente umano e relazionale della cura. E’ per questo che, anche a livello istituzionale, sempre più si parla di “umanizzazione della medicina”, e ci si apre con sempre maggiore interesse alla integrazione della medicina tecnologico-scientifica con la visione sistemica e relazionale della ‘Medicina Integrata’. Tre sono i principi cardine su cui si basa la Medicina Integrata:

1) l’uomo, qualunque uomo, è considerato una creatura-sistema multidimensionale e indivisibile, corpo-mente-spirito, unica e irripetibile, in continua crescita ed evoluzione;

2) ciascun ‘individuo’ (nel senso etimologico di ‘in-diviso’, ovvero non diviso) appartiene ad un sistema famigliare, sociale e culturale, con cui è in continua, seppure spesso inconscia, inter-relazione;

3) ciascuna persona è protagonista e responsabile non solo delle proprie scelte e delle proprie azioni, ma anche del proprio benessere e della propria salute.

In questo approccio integrato, che fa leva sulla autodeterminazione con l’obiettivo di rafforzare la consapevolezza delle proprie capacità e delle proprie risorse (empowerment), il compito del medico non si limiterà alla diagnosi-prognosi-prescrizione, ma sarà anche quello di aiutare il malato a entrare in uno stato in cui diventano attive le forze risanatrici interiori. Questi meccanismi di autoguarigione, che sono il fondamento della vita stessa, utilizzano le capacità informazionali del nostro sistema PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia), e consentono di ristabilire l’armonia tra il corpo (con le sue sensazioni, emozioni, sentimenti) e la mente, tra il cervello logico/cognitivo e il cervello emozionale.

Compito vitale del medico, pertanto, sarà aiutare il malato a diventare più consapevole della natura e della misura delle sue disarmonie, e a guardare più in profondità al significato del suo squilibrio-malattia. Sarebbe questo, in effetti, il ruolo originario del “dottore” (dal latino docere, che significa insegnare). Solo così il malato può diventare protagonista totalmente responsabile delle proprie scelte e della propria vita, perché la guarigione, quella vera, quella profonda e ‘totale’, implica sempre il coinvolgimento del sistema Corpo-Mente del soggetto.

In questa ottica generale la chiave irrinunciabile della cura sta nella relazione medico-malato, una relazione di fiducia che non per caso viene anche chiamata ‘alleanza terapeutica’. E’ la relazione stessa che si fa Phàrmakon . Ma si tratta di ‘farmaco’ o ‘veleno’ (in greco, phàrmacon significa sia ‘farmaco’ che ‘veleno’)?  Si tratta di placebo o nocebo? Dipende solo dalle nostre capacità relazionali come medici.

Quanto [noi medici] siamo in grado di relazionarci in modo autentico, rispettoso del nostro e dell’altrui sentire, a partire da una piena accettazione dell’unicità e complessità della persona?

Quanto siamo consapevoli che, pur nella asimmetria del rapporto, lo scambio di vissuti ed esperienze è arricchimento per entrambi, crescita e più profonda comprensione di noi stessi oltre che dell’altro?

Quanto siamo presenti alla dimensione intima e umana delle nostre stesse ferite – fisiche, psichiche o esistenziali – e quindi consapevoli della nostra stessa vulnerabilità e dei nostri limiti?

“Non abbiate paura delle vostre ferite, dei vostri limiti, della vostra impotenza. Perché è con quel bagaglio che siete al servizio dei malati e non con le vostre presunte forze, con il vostro presunto sapere.” (Frank Ostaseski, medico fondatore dello Zen Hospice)

A questo ‘nuovo’ medico si richiederà non solo competenza e professionalità, ma anche empatia, capacità di ascolto, umiltà professionale, autentico senso di responsabilità. Qui non si tratta soltanto di responsabilità medico-legale, ma di ‘responsabilità’ in senso lato etimologico, dal lat. respondeo, ossia abilità di rispondere con la cosa giusta al momento giusto, e la cosa giusta può essere un farmaco, ma anche un gesto, una parola, un sorriso, un silenzio partecipe e accogliente.

La responsabilità verso gli altri presuppone un cammino lungo e spesso non facile, le cui tappe passano attraverso la crescita personale. Solo dalla profonda conoscenza della prima e più intima relazione “Io-Me stesso” possiamo guardare alla relazione “Io-Tu” con autenticità, attenzione, sensibilità e rispetto.