Il testamento biologico è legge


a cura di Luisella Battaglia, professore di Filosofia morale e di Bioetica, Università di Genova, pubblicato su Il Secolo XIX, 15 dicembre 2017.

L’approvazione della legge sul biotestamento inaugura una pagina importante nella storia del nostro paese innanzitutto sul piano dei diritti individuali, per l’affermazione del principio del consenso informato attorno a cui ruota la cosiddetta ‘rivoluzione liberale’ in medicina, incentrata sull’idea di autonomia della persona.

Ma la legge rappresenta anche, a mio avviso,  un decisivo punto di svolta per la convergenza che si è verificata su un tema eticamente sensibile come il fine vita, oggetto di decenni di lotte e di infinite controversie tra opposti schieramenti ideologici. Sappiamo che c’è stata un’attenta valutazione del testo di legge anche da parte del Vaticano e di particolare significato sono apparse le parole di papa Francesco, con la sua richiesta di “un supplemento di saggezza perché oggi è insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono effetti potenti sul corpo ma talora non giovano al bene integrale della persona”. Parole che, se richiamano esplicitamente le riflessioni del cardinale Martini a proposito del caso Welby, si collocano perfettamente nella scia dei principi della dottrina cattolica, a partire dalla dichiarazione di Pio XII del 1957 secondo cui “non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili”.

Quel che qui emerge è tuttavia una sensibilità nuova, un forte accento sull’umanizzazione del morire che mette in guardia dal pericolo dell’accanimento terapeutico e sottolinea, nel contempo, che “non attivare sempre mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso è compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia”.

Ecco, quindi, in estrema sintesi, quanto la legge ha faticosamente costruito: no all’accanimento terapeutico, al suicidio assistito, all’eutanasia, sì al rispetto dell’autonomia, della dignità della vita biografica e non meramente biologica, alla cura del morente e quindi alle terapie palliative. Punti decisivi su un tema cruciale che ha diviso profondamente lo stesso mondo cattolico al suo interno e che ha provocato – è storia recente –  le prese di posizione più integraliste di chi paventava ‘l’eutanasia mascherata’, ‘l’eugenetica nazista’, ‘l’omicidio di stato’. Nulla di tutto questo. In realtà – occorre ricordarlo? –  le dichiarazioni anticipate di trattamento, così come previsto dalla legge, lungo dal comportare alcuna deriva eutanasica, consentono a ciascuno, se lo desidera, in piena libertà e coscienza, di esprimere le proprie volontà circa le cure da ricevere o da respingere, nel caso perdesse la facoltà di decidere a causa di una malattia o di lesioni traumatiche. Una facoltà, dunque, non certo un obbligo.

Come ogni testamento, anche quello biologico, è del tutto volontario e può essere sottoscritto se – e solo se – si ritiene che sia preferibile e più saggio prevedere una situazione estrema e fornire indicazioni in merito per evitare sia di affidare ad altri decisioni che dovrebbero riguardare solo la nostra coscienza, sia di gravare parenti e amici della responsabilità non condivisa di decisioni difficili da assumere. Per questo dovremmo salutare con favore una legge seria e civile che si configura come uno strumento giuridico idoneo a regolare situazioni eticamente controverse.